Pensieri in bicicletta
Oggi è un giorno libero, dal lavoro, non libero e basta. Da qualche mese di libero c’è solo il menù del giorno nel senso che puoi decidere cosa mangiare, certo, ma non dove e con chi. E’ una esagerazione, è vero, ma un pasto non è soltanto cibo e l’altro non è necessariamente congiunto o affetto stabile. Manca l’imprevedibilità dell’incontro, manca la possibilità di mettere in coltura i rapporti e di dare al tempo il suo tempo. Manca la progettualità e non si fa in tempo a sfasciare i progetti da sé che già i tuoi piani devono adattarsi e spesso frantumarsi con gli aggiornamenti del DPCM di turno.
Ma sono “libera” suvvia, c’è il sole e, incrociando decreti e geolocalizzazione, oggi si può addirittura uscire dal proprio comune! La bici è leggera, il cuore somiglia ad una moka scoppiettante, le gambe girano, gli occhi ridenti sono coperti dagli occhiali scuri, ma guance e labbra, scoperte e fresche, prima sorridono e poi ridono…caspita la mascherina è rimasta a casa!
Ridono perché tutto sommato non fa niente, non serve indossarla e la libertà di farne a meno qui alla luce del sole è speranza del mondo che tornerà.
Mi spaventa chi dice che la mascherina resterà una buona abitudine anche quando questa pandemia sarà un capitolo chiuso. Perché tutti i capitoli per definizione finiscono ma la mascherina – il distanziamento sociale – l’altro che spaventa – la ricerca dell’asettico – i confini sbarrati non possono restare…che se ne vadano così come sono venuti.
Si cerca coraggio nella consapevolezza che niente dura per sempre ma è anche vero che ciò che passa lascia spesso un segno. Lo stupore per un abbraccio negato ad un bimbo molto piccolo, in un’età in cui le parole non sono mai tanto chiare quanto i gesti o la regola imposta ad un adolescente di non toccare, baciare, abbracciare i coetanei per il bene dei propri cari, in un’età in cui si costruisce la propria identità anche grazie all’altro…tutto questo può passare senza lasciare traccia? La ragione dice che è giusto così, che non si può fare altrimenti e lo urla sempre di più quando le emozioni, che non ne sono affatto sicure, incrociano le braccia e fanno male.
E resta la paura, la paura che tutto questo resti nei nostri gesti e ci tenga lontani, fisicamente lontani ed emotivamente persi. Paura che i gesti che da sempre significano ti voglio bene, fidati di me, mi sei mancato, ti amo, sono felice di vederti…restino gesti da usare con cautela.
Paura: unire i polpastrelli delle dita e poi aprire e chiudere in un gesto abbastanza rapido…il gesto del signor Carlo è quasi inequivocabile. Per quanto il mio collega sdrammatizzi e lo interpreti in un “che vuoi ”indirizzato a me, è ovvio che il nostro paziente ci stia dicendo, nell’unico modo in cui può, che ha paura. Gli sorrido con gli occhi e cerco di tranquillizzarlo con le parole. Più tardi gli porto i saluti della sua figlia minore. Lui guarda la finestra e me la indica pure col dito, “dov’è, è la fuori?” sembra che mi chieda. Gli dico di no, che l’ho sentita a telefono, che non può venire perché le regole dell’ospedale in questo (maledetto) momento non lo permettono. Spendo qualche secondo per sottolineare che è “colpa” nostra, che lei vorrebbe essere lì, in un timido tentativo di avvicinare i loro due cuori ma lui si limita a scuotere la testa. Non ha un’espressione arrabbiata sembra come rassegnato. Gli dico che presto ci organizziamo per fare una videochiamata ma non sembra molto interessato, forse non ha capito, tra le varie cose è pure un po’ sordo! Forse, intanto il giorno dopo muore, senza la sua famiglia.
Non so perché mi viene in mente questo episodio mentre pedalo, che poi sono pure in salita e non è affatto piacevole quando ti viene da piangere in salita: manca il fiato e bisogna affrettarsi a cambiare pensiero.
Gli occhiali scuri e il vento fresco in pochi secondi permettono al mio viso di cambiare espressione, sono serena e concentrata, ora bisogna spingere con forza sui pedali, con costanza e ritmicità per arrivare in cima. Fosse così lineare anche l’uscita da questa situazione…
Intanto il mio compagno d’avventura mi mette una mano sulla schiena per darmi una piccola spinta, il gesto mi coglie alla sprovvista e sbando per un attimo. Lo guardo col sopracciglio in alto in segno di lieve disappunto, lui è divertito, solleva la mano dal manubrio e mi fa con le dita…”paura eh?”. Un pochino, un attimo fa, ora invece mi perdo nel suo sorriso, grata di condividere un pezzo di strada insieme.
Bei pensieri Carmela, espressi con la sensibilità che ti distingue e con una penna che sembra scorrere leggera.
Stupenda, ti fa venir voglia di prendere quella bici ormai inpolverata e abbandonata da anni. Ora nn posso ma un giorno ci riproverò e dovrai sostenermi tu dottoressa ❤
Bellissimo racconto!
… cara Carmela, sùbito voglio porgerti gli Auguri di Buone Feste…! Poi complimentarmi per il tuo BELLISSIMO racconto e dirti… ma non essendo bravo come te, mi sono permesso di “rubare” alla tua Amica Intini “le parole” che riassumono il mio pensiero…
Racconti di vita che toccano il cuore e fanno emozionare 👏 brava carmela
Ciao Carmela. Bellissimo racconto in un momento in cui andando in bici osservi la Bellezza del panorama che Ti dà comunque tanta serenità e gioia. La chiave di tutto questo Tuo bellissimo racconto sta però sulle “paure” di una Società “distante”, di un Paziente, di un Adolescente, di un Giovane, di Noi stessi. Ma a Te questa “paura” si scioglie, per esempio, quando il tuo compagno di avventura ti affianca per rendere meno faticosa la salita in bici. Benchè la tentazione quando la pandemia sarà passata sia quella di “conservare il distanziamento”, il nostro Cuore che tutto può, ci indicherà di dare molto più valore al “contatto”, ai Rapporti personali, alla Famiglia, alle Amicizie, all’Amore, al Perdono. Perchè solo “insieme” si potrà riprendere a “crescere”. Il mio augurio è che tutti noi possiamo “sentire” il nostro battito che mai si dimentica di indicarci la direzione del nostro Cammino. Serene Feste 🙂
Quando si pedala i pensieri fluiscono senza stazionare troppo,devono lasciare spazio ai respiri che,specie se in salita,diventano incalzanti. Non per questo i pensieri sono meno profondi come questi che hai voluto accoratamente condividere
Bel racconto Carmela, complimenti!
Bel racconto, Carmela: sono racchiusi un po’ tutti gli stati d’animo che riguardano noi tutti: dalla stanchezza di una situazione critica che perdura da diversi mesi alla fiducia che prima o poi si ritorni alla normalità, dalla rassegnazione per la mascherina da tenere sempre come buona abitudine alla spensieratezza che ci regala un giro in bici.
Emozionante il tuo racconto, Carmela, come profonde le tue riflessioni sul tempo che passa e che ci ruba, insieme a questa pandemia, la libertà di poter esplorare in santa pace e con chi ci piace questa bellissima terra, con questo mezzo che ci dà allegria già alle prime pedalate e ci consente di tessere giri avventurosi e reti di amicizie belle e pulite. Fermati ancora, quando senti prepotente il bisogno di mettere nero su bianco . Ne varrà sempre la pena ! e poi , se vuoi, rendicene partecipi.