Finalmente! Siamo sbarcati. Siamo a Stromness. Il viaggio in traghetto Scrabster – Stromness è la dimostrazione del relativismo del tempo. Ufficialmente durava 3 ore ma per noi è durato un’eternità. Onde così alte non le avevamo mai viste. In alcuni momenti avvolgevano tutto il traghetto. In tutto questo dovevamo anche trasformare la nostra preoccupazione in un gioco per una bambina di 3 anni. Comunque siamo arrivati. Ed ora siamo pronti ad esplorare le Orcadi. Arcipelago di isole geologicamente appartenenti alla Scandinavia ma politicamente sotto la giurisdizione della Gran Bretagna. Natura e politica non sono mai andate d’accordo.
Appena sbarcati ci riprendiamo dalla traversata movimentata e ci lanciamo verso il nostro B&B Quoy of Hout pronti per il nostro breve soggiorno.
Arriviamo in questa splendida casa accolti dal calore e dall’ospitalità infinita di Karol. Il nostro programma prevedeva per il pomeriggio un primo assaggio di Orcadi. Ma il giardino di Karol affacciato su un piccolo angolo di mare del Nord, ci invita ad altro. Poi se sulla riva arrivano le foche capisci che il programma pomeridiano subirà una brusca modifica.
Pigramente ci accomodiamo sulle panchine in un silenzio surreale accompagnato solo da qualche intermittente verso delle foche (che scoprirò chiamarsi latra).
A differenza di tutti gli stereotipi Karol, donna dell’estremo nord, è persona ospitale e chiacchierona. Iniziamo a parlare del nostro viaggio per la Scozia con una bimba di 3 anni, dell’Italia e della Scozia.
Sul più bello lei ci chiede “Conoscete Domenico Chiocchetti?”. Stupita dalla nostra risposta negativa insiste “Siete venuti nelle Orcadi per vedere l’Italian Chapel?”
What is this? rispondo io nel mio povero inglese. Lei, stupita, ci parla di guerra e di prigionieri italiani arrivati sulle Orcadi.
E’ una calda giornata (per gli standard scozzesi), quel terribile vento della mattina si è fermato. La nostra nuova amica ci offre un te e per rispondere alle nostre domande inizia a raccontarci la storia di Domenico Chiocchetti.
Domenico nasce il 15 maggio del 1910 a Moena quando Moena era un semplice paesino di montagna e non la perla dello sci dolomitico. Era il più giovane di dodici figli. La vita mostra subito a Domenico la sua faccia più tetra segnando il suo carattere Nel 1917 in un terribile incidente perde il fratello un po’ più grande di lui e due amici. L’incidente fu causato da una bomba, rimasta inesplosa dopo alcune esercitazioni militari austriache. Domenico divenne un bambino chiuso e silenzioso. In questi primi anni di vita crebbe in lui una passione per l’arte. La sua modesta estrazione contadina certamente non gli permetteva di frequentare la scuola d’arte , ma Domenico non smise mai di osservarne ogni forma e scintilla intorno a sé esercitando il suo talento naturale, dipingendo statue sacre ed affreschi nelle chiese locali. A 15 anni ebbe l’occasione di partire per il mondo. Partire per il mondo, per un ragazzo, era anche spostarsi da Moena a Ortisei, località della Val Gardena rinomata per la lavorazione artistica del legno. Quel Domenico non sapeva che la vita lo avrebbe portato molto lontano dalle sua amate valli e molto lontano avrebbe mostrato le sue abilità.
Lasciamo un momento il ragazzo Chiocchetti in un laboratorio di arte lignea tra segatura e attrezzi vari per seguire il filo della grande Storia.
Il 14 ottobre 1939 un sommergibile tedesco superò gli sbarramenti che avrebbero dovuto proteggere la baia di Scapa Flow (120 miglia quadrate al centro delle isole Orcadi, Scozia, mare del Nord), base della flotta della Royal Navy, e lanciò cinque siluri contro l’ammiraglia della flotta inglese, la Royal Oak, che affondò nel giro di pochi minuti insieme a ottocento marinai dell’equipaggio. Fu una delle maggiori tragedie nella storia della marina britannica.
Churchill in persona arrivò sul posto per prendere visione del disastro e valutare possibili soluzioni. Iniziarono a valutare se gli ingressi a est della baia – i cosiddetti “SOUNDS” (stretti) che separavano le varie isole – potessero essere chiusi una volta per tutte. Proprio da lì si sospettava fosse entrato quel dannato sottomarino tedesco! E così quella sua idea, apparentemente folle e difficile da realizzare, diede il via all’opera ingegneristica più ambiziosa della Seconda Guerra Mondiale. Le BARRIERE da costruire dovevano essere quattro e ciò avrebbe comportato un immane dispiegamento di mezzi e di uomini.
Nel frattempo la Grande Storia è arrivata anche in Val Gardena e Domenico nel 1940 viene sradicato dal suo amato laboratorio di falegnameria e arruolato nell’esercito italiano. Parte per l’Africa per combattere una guerra che non comprendeva e che non avrebbe voluto, una guerra che sarà un inesorabile crocevia per la vita di tanti. La spedizione africana sarà per l’esercito italiano tutt’altro che un successo. Domenico, insieme ad altri 1500 italiani, viene catturato nel Nord Africa dalle truppe del Gen. Montgomery.
Molto più a nord il progetto di Churchill inizia a muovere i primi passi. La ditta incaricata di realizzare le barriere è la Balfour-Beatty, ditta già presente in loco. La ditta comunica, alle autorità militari, che non è in grado, anche a causa dello sforzo bellico inglese, di trovare tutta la manodopera necessaria per la realizzazione dei lavori. L’opera sembra arenarsi.
Anche in questo caso è risolutivo l’intervento di Churchill. Il premier inglese decide di utilizzare i prigionieri di guerra del fronte africano.
Nell’estate del ‘42 dalle assolate Tobruk e Bengasi partono diverse navi mercantili con 550 prigionieri di guerra italiani con destinazione Liverpool. Tra questi prigionieri troviamo anche Domenico Chiocchetti.
Sono arrivate le 6.30 pm. Qui alle Orcadi il sole non accenna a tramontare ma Karol ci ricorda che siamo in Scozia ed è quasi ora di cena. Accettiamo il suo invito.
Ci offre un’eccellente cena scozzese a base di salmone. Ma la nostra curiosità è ormai irrefrenabile e esortiamo Karol a continuare la storia di Domenico. E lei riprende.
Siamo rimasti con Domenico Chiocchetti in viaggio verso Liverpool. Stipati nelle stive di queste navi merci, al limite della sopravvivenza, i prigionieri arrivano a Liverpool dopo 3 mesi assolutamente ignari del loro destino. Vengono caricati su un treno con destinazione Edimburgo dove restano reclusi in due palazzi abbandonati per diverse settimane. Successivamente verranno trasferiti ad Aberdeen e da lì imbarcati per le Orcadi.
Domenico probabilmente le Orcadi le aveva viste solo su una cartina scolastica dell’Europa. Possiamo immaginare che potesse aver fantasticato su cosa ci fosse e chi vivesse in queste isole così lontane da casa sua. O forse non ne conosceva neanche l’esistenza.
Arrivano sulle Orcadi in autunno avanzato. Vengono divisi in due gruppi. Un gruppo viene destinato sull’isola di Burray nel campo 34 e l’altro sull’isola di Lamb Holm al campo 60.
Domenico viene assegnato al Campo 60 nell’isoletta Lamb Holm. Parliamo di una isoletta minuscola, disabitata, senza niente che non sia il verde dei suoi prati e il mare gelido.
La vita al campo era assai dura e il clima crudele di quei primi mesi invernali rendeva il lavoro, di per sé già pesante e pericoloso, ancora più difficile.
La giornata iniziava presto, nel buio profondo delle gelide mattine nordiche e la maggior parte degli uomini assegnati al Campo 60 aveva il compito di staccare materiale roccioso a pareti ostili che, come per dispetto, opponevano agli sforzi di quegli uomini la massima resistenza. Questi grossi frammenti di roccia andavano, poi, caricati su camion, operazione al limite della resistenza fisica che metteva a dura prova le schiene e le mani degli uomini.
Altri uomini del campo ricevevano questi grossi blocchi e provvedevano a frantumarli per poi crearne altri di cemento che, mediante manovre azzardate e rischiose, venivano gettati in un fondo marino mai sazio.
Al campo il cibo non mancava e gli inglesi assicuravano, ai prigionieri, tutto il necessario per una vita dignitosa. Quello che nel campo mancava era una spazio, un’area dove divagare, per qualche momento, staccandosi dalle miserie della contemporaneità e ritrovarsi insieme in una parentesi di pace e ricreazione.
Purtroppo la barriera linguistica rappresentava, per quei ragazzi italiani in maggioranza analfabeti, un ostacolo insormontabile. Il malcontento cresceva talmente tanto che nel Campo 60 si giunse ad uno sciopero generale organizzato da ignoti.
La motivazione era il mancato rispetto della Convenzione di Ginevra secondo la quale i prigionieri di guerra non potevano essere utilizzati per la realizzazione di opere a scopo bellico proprio come quelle barriere. I prigionieri presentarono un esposto formale al Maggiore Yates, l’ufficiale assegnato alla direzione dei campi di prigionia 60 e 34.
L’esposto provocò diversi problemi e i lavori furono sospesi. La notizia giunse a Churchill che ,grazie alla sua abilità dialettica e politica, la risolse dichiarando che non si stavano costruendo “BARRIERE”, bensì di STRADE RIALZATE, già progettate prima della guerra, per collegare le isolette (disabitate) del sud con la MAINLAND (l’isola principale) a beneficio degli abitanti.
I lavori ripresero tra malcontento ed altri tentativi di sciopero. Un successo gli italiani lo raggiunsero ottenendo il cambio del direttore dei campi.
Il Maggiore Yates lasciò il posto al Maggiore Thomas Pyres Buckland, personaggio molto più aperto al confronto e al dialogo. Per fortuna dopo l’inverno arriva sempre una primavera. E la primavera portò con se un cambio di clima sia meteorologico che di gestione dei campi. Ai prigionieri fu concesso di abbellire con passerelle e piccoli giardini i loro campi. Furono, anche, rivisti i ritmi di lavoro, rendendoli più compatibili con la sopravvivenza umana.
Domenico prima di iniziare l’avventura militare, come abbiamo detto, si era dedicato al mondo dell’arte e della pittura. E anche nel campo 60 fece conoscere le sue abilità. Terminata la dura giornata di lavoro si dedicava a piccole attività artistiche. Fu molto apprezzato per le sue opere e grande successo ebbe il suo Presepe.
Il Chiocchetti era molto religioso, tant’è che una volta raccontò che aveva desiderato che nel campo ci fosse una chiesa. Ne avvertiva la necessità per soddisfare il bisogno di religione e per chiedere con la preghiera la fine della guerra.
Nel 1943 propose questa sua idea al Maggiore Buckland e a padre Gioacchino Giacobazzi, sacerdote cattolico del campo. Tutti e tre concordarono sulla necessità di dare al campo un luogo di culto.
La prima opera ideata e realizzata dai manovali italiani fu il monumento dei prigionieri di guerra italiani, con una scultura raffigurante San Giorgio che trafigge il drago, realizzata con uno scheletro di filo spinato ricoperto di cemento.
Di fronte a questo monumento si trovavano due capanni Nissen non più utilizzabili. Furono dati agli italiani per realizzare la loro chiesa. Gli fu dato permesso di radunare fra i compagni di prigionia una squadra di artigiani: falegnami, fabbri, muratori, elettricisti. L’unico vincolo che il Maggiore diede fu che i ritmi di realizzazione delle strade/barriere non dovevano subire alcun rallentamento.
Per i materiali di costruzione dovettero arrangiarsi. Impiegarono materiale recuperato da navi rottamate: le piastrelle dei bagni d’un incrociatore tedesco per il pavimento, barre di ferro trovate nei rifiuti per la cancellata – una delle meraviglie della cappella –, per i candelabri in ottone, la lamiera delle scalinate d’un piroscafo, per i lampadari, barattoli della carne in scatola e così via. Cioè Chiocchetti, proprio come gli artisti del movimento object trouvé, da Duchamp a Tinguely, creò il suo capolavoro valorizzando materiali senza valore.
L’opera più importante, dal punto di vista spirituale e pittorico, nella cappella è la Madonna con Bambino.
Domenico trovò ispirazione da un santino che aveva nel portafoglio, ricevuto dalla madre, portato con sé durante tutta la guerra. Fu sua l’idea dei cherubini che circondano la Madonna. Uno di loro tiene in mano lo stemma araldico di Moena.
La leggenda racconta che tale opera fu realizzata con i colori che Domenico ricevette in regalo da un’artista locale con lo scopo di creare un segnale di amicizia tra quelle isole del mare del Nord ed il villaggio dolomitico che aveva visto nascere il Chiocchetti. Al centro del soffitto troviamo una colomba, simbolo di pace, molto simile quella che possiamo trovare nella chiesa parrocchiale di Moena.
Gli altri artefici di questa storia sono il fabbro Giuseppe Palumbi e l’artista Giovanni Pennisi che aiutò Domenico nel dipingere la navata, oltre a tanti altri prigionieri di cui non è stato possibile recuperare i nomi per poterli ricordare.
Nell’estate del 1944 i lavori delle dighe furono terminati.
Alla fine la cappella è stata utilizzata solo per un breve periodo di tempo, ma non c’è dubbio che abbia rivestito un ruolo fondamentale nel mantenere alto il morale degli uomini disperati, lontani da casa e preoccupati per i propri cari e amici che non vedevano da anni.
Il 9 settembre 1944 gli uomini del Campo 60 furono trasferiti nello Yorkshire, dove lavorarono principalmente nelle fattorie vicine fino al loro ritorno in Italia all’inizio del 1946.
Poco prima della loro partenza Padre Giacomo tenne una funzione nella cappella alla quale parteciparono italiani, soldati britannici, operai edili, famiglie delle Orcadi e molti altri civili. Il piccolo edificio, il miracolo del campo 60, era riuscito ad unire popoli ed uomini che la guerra aveva schierato su fronti opposti. Questi uomini chiamati a costruire delle barriere in realtà erano riusciti ad abbattere tante altre barriere grazie al linguaggio universale dell’arte.
Al termine dei lavori ufficiali nella Cappella italiana mancava ancora la realizzazione di un’opera. L’acquasantiera.
Domenico riuscì a convincere il Maggiore del campo che gli permise di restare in quel luogo, da solo, per un’altra settimana. In quella settimana, mentre un gruppetto di soldati smantellava fornelli, letti e altri oggetti che potevano essere utilizzati in altri campi, Domenico riuscì a completare l’acquasantiera.
Nel 1946, come detto, i prigionieri ritornano in Italia e Domenico Chiocchetti con loro. Se ne perdono le tracce. Possiamo immaginare che tornò nella sua Moena dove lo ritroveremo negli anni ‘60, luogo in cui riprese la sua storia, diventò artista locale, marito e padre.
Quante volte avrà raccontato a parenti ed amici della sua splendida opera nel mare del Nord essendo ascoltato con la scarsa attenzione che si dedica ad una storia che si reputa opera più della fantasia che della realtà. Quante volte, in quegli anni, Domenico sarà andato su un libro di geografia dei figli per vedere bene dove si trovassero quelle misteriose isole inglesi abitate da pochi uomini e tante foche? Chissà quali sentimenti lo attraversavano. Amore? Odio? Piacere? O forse, come spesso accade, tutti questi insieme?
E nelle Orcadi cosa accade nel primissimo dopoguerra? Tutti gli ex campi di prigionia furono rasi al suolo in tutta la Gran Bretagna mentre le persone cercavano di tornare alla normalità il più rapidamente possibile. Le cicatrici, le ferite e le meschinità di una guerra devono essere cancellate il più velocemente possibile.
Un giorno una squadra di demolitori arrivò a Lamb Holm. Questi uomini avevano l’ordine di abbattere gli edifici dei campi militari il più velocemente possibile. Ma, come spesso accade, nell’animo di questo gruppo di abbattitori professionisti trovò posto un angolo per la commozione ed il bello e, pertanto, arrivati con i loro rumorosi macchinari all’ingresso di quella solitaria Cappella la guardarono incuriositi, scesero dai loro mezzi e aprendo la porta della Cappella ne furono commossi ed estasiati. Furono pervasi da un sentimento di dolore e di speranza. Uscirono silenziosi con la morte nel cuore perché quella Cappella doveva essere abbattuta.
Mentre risalivano sui loro mezzi, osservati solo da qualche pigra foca spiaggiata, il capo squadra chiese se fossero tutti d’accordo a lasciare il monumento così com’era. Il silenzio fu spento da un fragoroso applauso di felicità. Mi piace immaginare che anche le foche iniziarono a latrare. Gli uomini se ne andarono senza toccarla disobbedendo agli ordini ricevuti e lasciando intatte la cappella e la statua di San Giorgio.
La cappella restò lì, in quella isoletta disabitata. Non c’era nessuno che potesse amare e prendersi cura dell’edificio e i feroci inverni delle Orcadi lo martellavano senza pietà fino a quando i dettagli fini della testa di Cristo di Pennisi iniziarono a consumarsi e il tetto di cemento si incrinò lasciando entrare l’acqua che minacciava di distruggere le opere presenti all’interno.
Qualche anno dopo sull’isoletta di Lamb Holm, anche grazie alle strade realizzate durante la guerra, si iniziano a costruire delle case. La cappella viene riscoperta dagli abitanti del luogo che decidono di prendersene cura e cercano di limitarne i danni. Gli anziani dell’isola raccontano che quella misteriosa cappella era stata realizzata da prigionieri di guerra italiani. Così viene battezzata come The Italian Chapel.
Il racconto delle storia di una cappella realizzata da prigionieri italiani inizia a girare per tutto il Regno Unito fino a quando, nel 1959, la BBC non decide di realizzarne un documentario. Il documentario ha un notevole successo. Così la BBC rintraccia Domenico Chiocchetti per realizzare una seconda puntata del documentario.
Una mattina primaverile del 1959 un gruppo di giornalisti della BBC arrivò a Moena chiedendo dove abitasse Domenico Chiocchetti. Quel giorno per Domenico resterà indelebile. Sapere che la sua opera, realizzata con rifiuti e tenuta insieme dalla forza della disperazione, era ancora in piedi e che la principale emittente televisiva inglese ne aveva fatto un documentario probabilmente gli restituì parte della vita che la guerra gli aveva rubato.
Nel 1960 Chiocchetti fu invitato, dalle autorità locali, a tornare nelle Orcadi da uomo libero.
Gli fu chiesto di lavorare al restauro della cappella che aveva subito danni a causa della neve e del ghiaccio. Chiaramente Domenico accettò e restituì allo splendore originario la piccola cappella.
Oggi al lato della Chiesa è possibile ammirare un Crocifisso in legno donato dal Comune di Moena nel 1961.
«Non serve descrivere come mi sentii; nessun giornalista potrebbe tradurlo in parole. Ero commosso fino alle lacrime», dichiarò in un’intervista e nella sua lettera di addio, conservata negli archivi delle Orcadi, ed aggiunse: « …il mio lavoro alla cappella è terminato …la cappella è vostra. Porto con me in Italia il ricordo della vostra gentilezza e della vostra meravigliosa ospitalità. Mi ricorderò sempre di voi e i miei figli impareranno da me ad amarvi».
Questa è la storia di Domenico Chiocchetti e della The Italian Chapel che si trova sull’isoletta di Lamb Holm nell’arcipelago delle Orcadi.
Così Karol concluse il suo racconto e ci augurò una buonanotte.
La mattina dopo, dopo una ricca colazione a base di porridge, ci mettiamo in moto per andare verso la cappella italiana. E’ una giornata con pioggia e raffiche di vento incredibili. Per raggiungerla dobbiamo usare le strade/barriere costruite da Domenico e gli altri italiani. Solo standoci sopra puoi percepire l’immane lavoro che fu chiesto ai soldati prigionieri. Arriviamo alla chiesetta. Una chiesetta, oggi, in mezzo al nulla circondata da immensi ed accecanti prati verdi.
Questa è la nostra Italian Chapel. Queste sono le nostre Orcadi che, a noi che cercavamo la bellezza estrema della natura, ci hanno regalato uno stupendo esempio di umanità.
Informazioni Turistiche
Al largo dell’estrema punta nord-orientale della Scozia, privo di rilievi elevati e composto da più di 70 isole, l’arcipelago delle Orcadi svolse un ruolo fondamentale in entrambe le guerre mondiali. Separate dalla terraferma dal Pentland Firth, le Orcadi, così come le Shetland, sono storicamente molto vicine alla Scandinavia e tendono a considerarsi come una regione a se stante rispetto alla Scozia, data la loro vicinanza culturale e geografica con i vicini abitanti della penisola scandinava. Sulle Orcadi il passato si può toccare con mano, dagli antichissimi Menhir preistorici ai castelli e alle fortezze. Rimarrete sicuramente colpiti dalla mitica Skara Brae, dove potrete scoprire insediamenti abitativi di oltre 5000 anni fa. Ma la vera attrattiva delle Orcadi è sicuramente la natura selvaggia e indomita: la bellezza delle alte scogliere ricoperte di un manto soffice e verde che si getta sul mare blu cobalto vi lascerà senza fiato Nei mesi estivi, i migliori per visitare queste isole, potrete ammirare insenature e rocce a picco sul mare abitate da uccelli marini e colonie di pulcinelle di mare, mentre nelle acque spesso burrascose vedrete nuotare le foche. Un vero paradiso per gli amanti della natura!
Per gli amanti della bicicletta sono sicuramente una meta stupenda. Non c’è neanche bisogno di sottolineare la cultura del rispetto dei ciclisti presente nei paesi nordici.
Bella storia, grazie.
Però, visto dove sono collocate geograficamente, definire le Orcadi “geologicamente appartenenti alla Scandinavia” è come minimo fuorviante.
Un saluto